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A partire dal 9 marzo 2020, come tutti sanno, veniva imposto il lockdown nazionale a causa del diffondersi della pandemia da Coronavirus che ha portato alla sospensione dell’esercizio di numerose attività commerciali. Situazione che, in taluni casi, si protrae tutt’oggi.
Nella maggioranza dei casi, queste attività si svolgono presso immobili che sono oggetto di contratti di locazione a uso commerciale, ovvero contratti in forza dei quali il professionista, verso la corresponsione di un canone, può utilizzare tale immobile di proprietà del locatore per l’esercizio della sua attività.
Il contratto di locazione commerciale è un contratto a prestazioni corrispettive, o sinallagmatico. Ciò significa che ogni contraente ha assunto l’obbligo di eseguire una prestazione in favore della controparte, avendo il diritto di percepirne una in proprio favore. Per tale ragione vi è una condizionalità reciproca tra le prestazioni dovute dalle parti che, nel caso particolare, consistono, per il locatore, principalmente nell’obbligo di mettere a disposizione e far godere la controparte del bene, mentre per il conduttore, la prestazione principale consiste nel pagamento di un canone periodico, di regola mensile.
È rilevante ricordare tali elementi costitutivi del contratto di locazione a uso commerciale perché, proprio in ragione delle restrizioni imposte dai numerosi dpcm susseguitisi nell’ultimo anno, molti professionisti non hanno potuto sfruttare e godere del bene immobile, ma i locatori hanno ugualmente preteso il canone di locazione.
Infatti, abbiamo appena detto che il contratto di locazione a uso commerciale è un contratto a prestazioni corrispettive, dunque risulta applicabile l’art.1460, che introduce nell’ordinamento l’eccezione d’inadempimento: “ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione, se la controparte non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente alla propria”. Ecco che allora si potrebbe pensare che, in forza di questa disposizione, il professionista-conduttore potrebbe giustificatamente rifiutarsi di pagare il canone a fronte dell’impossibilità di godere del bene immobile, oggetto della prestazione principale del locatore.
Tuttavia, a ben vedere, ciò sarebbe un errore, infatti non è configurabile alcun inadempimento del locatore: non è quest’ultimo a impedire il godimento dell’immobile, ma tale impossibilità è dovuta ad un dpcm, ad una norma dell’ordinamento.
Si tratta, allora, di una soluzione da scartare.
Per la verità, esiste un’altra norma del nostro ordinamento che potrebbe essere presa in considerazione dal professionista che si trovasse in questa situazione, ovvero l’art.1467, che tratta dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione: “se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto”.
Al contrario dell’ipotesi precedente, stavolta è certamente possibile riscontrare la fattispecie descritta dalla norma nel caso concreto.
Difatti a causa di un avvenimento straordinario e imprevedibile, ovvero la pandemia da Covid19, non è possibile per il professionista-conduttore esercitare la propria attività e dunque percepire delle entrate patrimoniali, essendogli tuttavia richiesto ugualmente il pagamento del canone, prestazione che, tenuto conto di ciò, risulta divenire eccessivamente onerosa.
Quello che, però, non convince di tale soluzione è la tutela predisposta dall’ordinamento, ovvero la risoluzione, cioè lo scioglimento del contratto.
È una soluzione non soddisfacente perché il contratto di locazione ad uso commerciale è un contratto di durata, per cui l’interesse delle parti non corrisponde affatto alla volontà di cessare il loro rapporto, ma anzi di mantenerlo in vita, facendolo sopravvivere ai possibili eventi inaspettati che dovessero intervenire durante la sua esecuzione. E questo specialmente con riferimento al professionista, in quanto lo scioglimento del contratto comporterebbe la chiusura, o quantomeno il trasferimento, dell’esercizio commerciale.
Dunque, questa soluzione è percorribile, ma ancora non totalmente soddisfacente per il conduttore, il quale, per i motivi illustrati poc’anzi, potrebbe comunque ritenere più conveniente mantenersi obbligato al pagamento il canone, piuttosto che chiedere la risoluzione del contratto.
Infatti, come si è visto, non esiste nel nostro ordinamento una norma che sia in grado venire in aiuto al professionista-conduttore che si trovi nella situazione descritta, non essendo individuabile una soluzione che tenga conto dei reali interessi delle parti, tra cui l’esigenza manutentiva del rapporto.
Tuttavia, di recente si è fatta strada l’ipotesi di prendere come riferimento l’art.1375 del Codice civile, che ricorda alle parti contraenti che esse sono tenute ad obblighi di correttezza e buona fede per tutta la durata del contratto.
Ci si deve dunque chiedere se sia rispettosa di tali obblighi la condotta del locatore che, restando indifferente al contesto mutato a causa di eventi straordinari e incontrollabili, continuasse a pretendere dal conduttore lo stesso canone.
In merito a ciò si è espresso il Tribunale di Roma con una recente ordinanza (29683/2020), in cui si afferma che, proprio in ragione del mutamento del sostrato giuridico e fattuale a causa del Covid19, la parte che subirebbe uno svantaggio dal protrarsi dell’esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente (nel caso concreto, il conduttore che subisce un aggravamento del peso economico del rapporto contrattuale originario), deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto. Ovvero si è ipotizzata l’esistenza di un obbligo di rinegoziazione del contratto, che trova la propria giustificazione e legittimazione nell’art.1375 del Codice civile.
La stessa Corte di Cassazione, in una relazione avente proprio ad oggetto alcune questioni legate all’emergenza pandemica, ha rimarcato come, nei contratti di durata, gli obblighi di correttezza e buona fede comportino la necessità di tenere conto di eventi che potrebbero sopravvenire nel corso del rapporto, per cui è da ritenersi esistente un dovere di rinegoziazione dei termini del contratto qualora l’equilibrio negoziale risultasse inficiato.
Nel caso del contratto di locazione ad uso commerciale, dunque, il professionista-conduttore è legittimato a richiedere una rinegoziazione del contratto al locatore, il quale, in virtù degli obblighi di correttezza e buona fede, è tenuto a mostrarsi a ciò disponibile.
A questo punto, la rinegoziazione risulta una soluzione percorribile e, apparentemente, la più soddisfacente, in quanto permette una revisione del contratto tale da ripartire in maniera più equa tra le parti il peso economico dello stesso, potendo aversi una sospensione o riduzione del canone per un certo numero di mensilità e dunque potendosi rimediare, in concreto, alla situazione di squilibrio creatasi a svantaggio del professionista-conduttore.
Tuttavia, va rilevato che all’interno dell’ampia normativa emergenziale non vi sono disposizioni in grado di giustificare un esonero del conduttore dal pagamento del canone di locazione e nemmeno norme volte a favorire la rinegoziazione dei contratti.
L’unico tipo di agevolazione concesso dal Governo nell’ultimo anno in favore dei conduttori trova attuazione in ambito fiscale, per cui l’art.65 del Decreto Cura Italia prevede un credito di imposta del 60% sui canoni di locazione pagati.
Più precisamente, è l’art.3, comma 6bis, del d.l. n.6/2020 ad indicare le ipotesi in cui è possibile rinegoziare le condizioni economiche di un contratto, tra cui anche la riduzione dei canoni di locazione. Tra queste ipotesi, tuttavia, non viene menzionata quella concernente la locazione di immobili ad uso commerciale, lasciando quindi un dubbio circa l’intenzionalità di tale omissione da parte del legislatore.
D’altra parte, se scarsi sono i riferimenti normativi, molteplici sono, invece, le vicende in merito alle quali diversi Tribunali sono stati chiamati a pronunciarsi.
Il panorama è ampio e varie sono le soluzioni individuate, e ciò proprio in ragione della mancanza di una disposizione espressa in tal senso, nonché a causa di altri elementi peculiari caratterizzanti il contesto delle diverse fattispecie concrete portate di fronte ai giudici. Ecco che si sono viste, da una parte, sentenze che non hanno rilevato l’esistenza di un obbligo di rinegoziazione a ribasso, ma che hanno ritenuto comunque giustificati i mancati o ritardati pagamenti del canone in virtù dell’art.91 del Decreto Cura Italia, fatto che però non esclude l’obbligo del versamento di tali canoni, anche di quelli arretrati, una volta riacquistata liquidità da parte del conduttore.
Dall’altra parte, altre sentenze hanno, invece, ritenuto opportuno riconoscere una possibilità di rinegoziazione del canone di locazione relativamente ai mesi in cui l’attività commerciale del conduttore è stata forzatamente chiusa, al fine di riportare il contratto a maggior equità. Ciò parrebbe, peraltro, una soluzione conveniente per le parti contraenti, che possono così gestire esse stesse la rinegoziazione in modo tale da ottenere il migliore bilanciamento possibile dei rispettivi interessi, evitando, al contrario, di portare la lite in giudizio e dover quindi affrontare i costi correlati e soprattutto, per quanto abbiamo detto finora, un esito incerto.
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Mirco (Avv. Ph.D)
SU DI ME
Mi chiamo Mirco Caeran, sono un avvocato e dottore di ricerca, fondatore dello Studio Legale DMP (Diritto, Mercato, Persona) sito a Montebelluna (TV). Dopo aver conseguito un Dottorato di Ricerca in diritto Civile, assito privati ed aziende che richiedono un sopporto legale nel mondo del lavoro, della contrattualistica e degli affari.