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Tra i poteri che fanno capo al datore di lavoro, sicuramente rientra anche il potere di controllo, che è presupposto necessario del potere disciplinare a lui stesso riconosciuto.
Infatti, chiaramente, se il datore intende irrogare una sanzione disciplinare al lavoratore dipendente, deve prima poter esercitare un controllo per rilevare la violazione commessa.
Tuttavia, questo potere di controllo necessita un bilanciamento rispetto al complesso di diritti del lavoratore, parte dei quali costituzionalmente tutelati. Tra questi è da ricordare, innanzitutto, il diritto alla libertà e dignità del lavoratore, il quale potrebbe veder violata la propria sfera giuridica privata, qualora fosse ammesso un invasivo e illimitato potere di controllo da parte del datore.
La legge 300/1970, il cosiddetto Statuto dei lavoratori, si occupa della regolamentazione di tale potere di controllo con riferimento all’intera sfera delle libertà personali del lavoratore (libertà di opinione, dati sanitari…); in particolare, per quanto interessa in questa sede, all’art.2 viene disciplinata l’ipotesi di un controllo per mezzo di guardie giurate, mentre l’art.4 si occupa dell’ipotesi di utilizzo di strumenti tecnologici.
Tutta la disciplina parte dall’assunto primario per cui sono sicuramente vietati i controlli occulti, ovvero quelli che avvengono all’insaputa del lavoratore controllato, sia personali che strumentali.
Esiste solamente un’ipotesi in cui questo principio subisce un’eccezione, ovvero l’ipotesi di controllo difensivo. Cioè, qualora vi fosse un fondato sospetto circa il compimento da parte di uno o più lavoratori di un’attività illecita capace di pregiudicare il patrimonio aziendale o altri interessi, allora il datore risulterebbe legittimato ad esercitare il potere di controllo anche all’insaputa dei dipendenti.
La ragione di questo è evidente: infatti, se al lavoratore responsabile di una condotta illecita (il quale per esempio rubasse abitualmente beni dall’azienda) dovesse sempre venire previamente comunicato il momento di inizio del controllo, egli, per evitare conseguenze disciplinari e sanzionatorie, chiaramente cesserebbe tale condotta e dunque il controllo stesso diverrebbe inutile. Si tratta però, comunque, dell’unica ipotesi eccezionale rispetto alla regola generale che vieta lo svolgimento di controlli occulti.
In primo luogo, l’art.2 della legge 300/1970 concede al datore la possibilità di impiegare guardie giurate o altro personale di vigilanza, purché il solo scopo di tale controllo sia la tutela del patrimonio aziendale. È, invece, vietato il ricorso a tali mezzi qualora il fine fosse quello di far sorvegliare i lavoratori e controllare la corretta esecuzione delle rispettive mansioni. Dunque, le guardie giurate, o gli altri soggetti preposti, devono limitarsi a vigilare sull’integrità del patrimonio e di tutti i beni, non potendo contestare al lavoratore nessun altro fatto o azione. Quindi, è proprio per evitare ciò che la norma precisa che tali guardie non possono nemmeno accedere nei luoghi in cui si svolge l’attività lavorativa durante l’orario di lavoro, se non per esigenze legate alla tutela del patrimonio aziendale. Il mancato rispetto delle disposizioni comporta per i soggetti posti a vigilanza il rischio di sanzioni, nonché la possibilità di vedersi sospesa o revocata la licenza.
L’art.4, poi, si occupa di porre la disciplina per l’esercizio del potere di controllo che dovesse avvenire attraverso strumenti tecnologici. Questi strumenti possono essere telecamere o microfoni, ma anche mezzi più moderni come software o programmi per computer o altri dispositivi; infatti, nel 2015 il Jobs Act si è occupato di aggiornare tale articolo, tenendo anche conto degli sviluppi tecnologici avutisi nei decenni successivi al 1970.
Al primo comma, l’art.4 ricorda che la possibilità per il datore di installare impianti audiovisivi o altri strumenti che consentono un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, è strettamente subordinata:
Dunque, il fine dell’installazione dello strumento di controllo non deve essere la sorveglianza del lavoratore, che è, invece, un fatto solo accidentale.
Esempio classico è quello dell’impiegato di cassa la cui attività viene svolta sotto il controllo di una telecamera, il cui fine è, però, quello di vigilare sulla cassa, quindi a tutela del patrimonio aziendale.
Ad ogni modo, anche se il controllo sul lavoratore risulta solamente accidentale, l’art.4 ricorda al datore che è necessario
Il rispetto di tali regole è fondamentale, altrimenti l’installazione senza previo accordo o previa autorizzazione si traduce in un reato a carico del datore.
Il secondo comma, poi, ricorda che, grazie all’evoluzione degli strumenti tecnologici, il controllo potrebbe avvenire anche attraverso quegli stessi strumenti che il lavoratore utilizza per rendere la prestazione lavorativa ed in questo caso esclude l’applicazione delle regole dettate nel precedente comma. Quindi, l’obbligo procedimentale preventivo non si applica se lo strumento che consente il controllo a distanza è incorporato all’interno dello strumento con il quale il lavoratore esegue la prestazione.
La questione, a questo punto, è capire e distinguere i casi in cui lo strumento di controllo sia davvero incorporato allo strumento impiegato per l’attività lavorativa, dai casi in cui, invece, lo strumento di controllo sia stato ad esso intenzionalmente integrato dal datore. Quest’ultima ipotesi potrebbe verificarsi nel momento in cui il datore facesse installare nel computer normalmente utilizzato dal lavoratore, un software supplementare che consentisse un controllo della sua attività. Distinguere le due fattispecie è rilevante perché solo nei casi in cui lo strumento di lavoro e quello di controllo coincidessero o fossero inseparabili, non grava sul datore l’obbligo sancito al comma primo.
Infine, l’ultimo comma dell’art.4 completa il quadro di tutela della sfera della privacy del lavoratore, sancendo l’obbligo di rilasciare all’interessato l’informativa riguardante il trattamento (finalità e modalità d’uso) dei dati raccolti attraverso gli strumenti di controllo, dati che il Garante della privacy ricorda non poter essere conservati per più di 24 ore (salvo casi speciali).
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Mirco Caeran (Avv. Ph.D)
SU DI ME
Mi chiamo Mirco Caeran, sono un avvocato e dottore di ricerca, fondatore dello Studio Legale DMP (Diritto, Mercato, Persona) sito a Montebelluna (TV). Dopo aver conseguito una laurea in giurisprudenza con una tesi in diritto delle nuove tecnologie e un Dottorato di Ricerca in diritto Civile, assito privati ed aziende che richiedono un sopporto legale nel mondo del lavoro, della contrattualistica e degli affari.