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Sempre più spesso mi capita di ricevere nel mio ufficio lavoratori che lamentano di essere stati (o di essere ancora) vittime di mobbing sul posto di lavoro.
È possibile chiedere un risarcimento del danno qualora si è vittime di mobbing?
Ipoteticamente sì.
Negli ultimi anni, inoltre, la giurisprudenza ha individuato un’altra figura di fenomeno stressogeno che può coinvolgere il lavoratore e permettergli di richiedere un risarcimento. Si tratta dello straining.
Ma di cosa si tratta?
In questo articolo cercherò di spiegartelo in maniera semplice ma esaustiva.
Cominciamo con ordine.
La prima cosa da precisare è che sia il fenomeno del mobbing che quello dello straining vanno provati dal lavoratore che li denuncia.
La cosa, tuttavia, non è molto semplice.
Bisogna, quindi, innanzitutto comprendere quando si può parlare effettivamente di mobbing o straining. Successivamente, precostituirsi delle prove che possono consistere, ad esempio, in mail o anche registrazioni (badando bene di rispettare le norme in materia di privacy).
MOBBING
La Cassazione lo definisce come “condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, che si risolve in reiterati comportamenti ostili concretantisi in forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico-fisico e del complesso della sua personalità (Cass. 11777/2019).”
Da questa definizione si comprende come debbano esistere tutti questi elementi:
L’idea, quindi, è che si tratta di mobbing quando il proprio superiore ingegna un disegno complessivo atto a mortificare il lavoratore con continui e ripetuti atti persecutori o di emarginazione.
Un disegno i cui atti sono compiuti in un certo lasso di tempo e in modo volontario.
STRAINING
Si tratta una forma “attenuata di mobbing”, che è stata “ideata” dalla giurisprudenza interpretando in maniera estensiva l’art. 2087 c.c., secondo il quale datore è tenuto a garantire l’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la salute fisica e psichica dei propri dipendenti.
Tale obbligo impone all’impresa di evitare tutti quei comportamenti che possano creare un ambiente di lavoro ostile che rischia di incidere sulla integrità psico-fisica del dipendente
La giurisprudenza, accanto al mobbing, ha quindi sostenuto che il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possono ledere i diritti fondamentali del dipendente anche nella forma di condizioni lavorative stressogene idonee a causare un danno alla salute.
Per la giurisprudenza, si parla di straining quando “vi siano comportamenti stressogeni che producono effetti dannosi permanenti nel tempo, scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero e distanziate nel tempo” (Cass. 15159/2019; Cass. 18164/2018).
Lo straining è, dunque, una forma attenuata di mobbing, una condizione psicologica che può essere vista come a metà strada tra il mobbing e il semplice stress da lavoro correlato.
La differenza principale tra mobbing e straining, quindi, è che per avere il primo sono necessarie continue azioni vessatorie, mentre il secondo si configura anche a seguito di poche azioni isolate.
Inoltre, se nel mobbing l’elemento della volontarietà della persecuzione è imprescindibile e deve essere provata dal lavoratore, lo straining è stato riconosciuto da alcuni giudici anche in assenza della prova dell’intento persecutorio delle condotte vessatorie.
Ciò perché il datore di lavoro è tenuto a evitare “situazioni stressogene che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno più tenue anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio” (Cass. 3291/2016; Cass. 7844/2018; Cass. 18164/2018; Cass. 24883/2019).
E tu?
Se sei un lavoratore:
Se sei un datore di lavoro:
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Mirco Caeran (Avv. Ph.D)
SU DI ME
Mi chiamo Mirco Caeran, sono un avvocato e dottore di ricerca, fondatore dello Studio Legale DMP (Diritto, Mercato, Persona) sito a Montebelluna (TV). Dopo aver conseguito una laurea in giurisprudenza con una tesi in diritto delle nuove tecnologie e un Dottorato di Ricerca in diritto Civile, assito privati ed aziende che richiedono un sopporto legale nel mondo del lavoro, della contrattualistica e degli affari.